Teatro alla Scala, dal 22 settembre "L’incoronazione di Poppea" di Claudio Monteverdi. Dirige Rinaldo Alessandrini

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Va in scena al Teatro alla Scala dal 22 settembre L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi nello spettacolo - affidato a Rinaldo Alessandrini per la direzione d’orchestra e a Robert Wilson per la regia - che chiuse l’anno scorso il  trittico dedicato a Claudio Monteverdi realizzato dalla Scala in coproduzione con l’Opéra National de Paris. Il progetto è stato inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011. 

Il successo dello spettacolo, oltre che sull’esperienza di direttore e regista, fu garantito l’anno scorso da una compagnia di canto eccellente per qualità individuali e coesione, che si ripropone quasi intatta nel 2016: Nerone è il tenore Leonardo Cortellazzi recentemente applaudito anche ne Il trionfo del Tempo e del Disinganno, La Virtù il mezzosoprano Monica Bacelli, Ottone il contralto Sara Mingardo (anche lei apprezzatissima nel Trionfo),  Seneca il basso Andrea Concetti, Amore il soprano Silvia Frigato. Poppea era Miah Persson, impegnata in questi giorni alla Scala nella parte dell’Istitutrice in The Turn of the Screw di Benjamin Britten. La parte della protagonista è affidata a Carmela Remigio, premio Abbiati 2016 come miglior cantante. Carmela Remigio debuttò alla Scala ventenne proprio come Poppea, sostituendo Anna Caterina Antonacci alla prima della produzione firmata da Zedda e Deflo in cui cantavano anche Monica Bacelli e Sara Mingardo, anche loro all’inizio della carriera. La Remigio fu scelta poco dopo da Claudio Abbado come Donna Anna nel suo Don Giovanni, una parte che la cantante ha sostenuto anche alla Scala nel 2006 con Dudamel e nel 2010 con Langrée (nel 2009 è anche Madama Cortese nel Viaggio a Reims diretto da Dantone). Con le recite di Salisburgo di questa estate Carmela Remigio ha superato le 400 recite di Don Giovanni, delel quali 350 come Donna Anna e 50 come Donna Elvira. 
Rinaldo Alessandrini è uno dei più prestigiosi musicisti italiani. Organista, clavicembalista, direttore d’orchestra e fondatore del Concerto Italiano, Alessandrini ha dato un contributo decisivo all’interpretazione della musica barocca in particolare italiana, restituendo alla prassi esecutiva storicamente informata gli elementi di cantabilità, fluidità e soprattutto attenzione all’articolazione della parola che restavano difficilmente accessibili a molti dei migliori complessi europei. Non a caso il Times di Londra lo ha definito “the man who has done so much to make Italian Baroque music sound Italian again”. Nel 2003 Rinaldo Alessandrini è stato nominato Chevalier dans l’Ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese della Cultura.
Il regista, scenografo e light designer Robert Wilson colloca la vicenda in una scena continuamente cangiante, in cui il contrarsi e l’allargarsi degli spazi segue la stringente concatenazione degli eventi. Il prologo si svolge in un atrium romano il cui muro è stato ricoperto dalle radici di un fico, allusione a una natura che insidia le costruzioni della cività (il riferimento è anche alle radici del fico che coprono il muro del tempio di Angkor, in Cambogia, delle quali si dice che destino l’amore in chi le tocca). Il muro torna, libero e intatto, nella casa di Poppea: ma all’infittirsi dell’intrico delle passioni corrisponderà il moltiplicarsi degli alberi che via via sostituiranno le colonne come nella Betsabea al bagno del Veronese. 
Il palazzo di Nerone è uno spazio aperto delimitato da colonne in cui l’irrequietezza dei sentimenti è rappresentata da un blocco di pietra incrinato. Si torna a spazi delimitati per la casa di Seneca, un atrio da cui s’intravede un albero le cui radici sono state strappate dal suolo. L’obelisco oggi sito in Piazza San Pietro (un tempo circo di Nerone) campeggia nella scena successiva, che si svolge in una strada romana. Vedremo poi anche un enorme capitello proveniente dal foro romano. Lo spettacolo si conclude in una stilizzazione astratta della Domus Aurea. Ammantando le scene in luci dai sovrannaturali colori pastello Wilson ci ricorda che L’incoronazione di Poppea è un racconto che attraversa gli istinti peggiori dell’uomo ma si conclude con il trionfo di Amore. 
Robert Wilson è tra le figure di maggior spicco del teatro e dell’arte contemporanea: il suo segno astratto ed elegante ma capace di straordinari affondi emotivi come di efficacia umoristica è parte essenziale della cultura visiva e teatrale degli ultimi decenni. Wilson ha debuttato al Piermarini nel 1979 con il balletto Edison su musiche di Michael Riesman; è tornato nel 1987 con la storica Salome di Richard Strauss diretta da Kent Nagano con Montserrat Caballé e quindi nel 1979 con il Doktor Faustus di Giacomo Manzoni diretto da Gary Bertini con i costumi di Gianni Versace.

L’opera
L’incoronazione di Poppea è titolo tra i più misteriosi e più interessanti della storia del melodramma. La prima opera che ha abbandonato i cieli della mitologia per scendere nel crogiuolo delle passioni di esseri umani realmente esistiti ci giunge in forma parziale, incompleta. La coronatione di Poppea andò in scena al Teatro dei SS. Giovanni e Paolo di Venezia nel 1643 ma l’unico documento che ce ne resta è un sunto della trama. Il libretto di Gian Francesco Busenello, soprendente per realismo, sensualità e disincanto, viene pubblicato nella raccolta Delle hore ociose nel 1656 ma senza l’indicazione del nome del compositore, che manca anche nelle due partiture manoscritte conservate a Venezia e a Napoli. Gli studiosi convergono ormai nel considerare antecedente il manoscritto veneziano che, attraverso diverse versioni intermedie oggi perdute e verosimilmente riferibili a riprese nella città lagunare realizzate nella cerchia di Francesco Cavalli (dalla cui Doriclea proviene la Sinfonia introduttiva) si arricchisce e si sviluppa fino a sfociare nell’edizione napoletana del 1651. Numerosi e diversi gli apporti musicali: oltre al citato Cavalli si fanno i nomi di Benedetto Ferrari, Francesco Sacrati e Filiberto Laurenzi, così che a Monteverdi non può essere attribuito più del 60% della partitura. Certamente non attribuibile a Monteverdi è il celebre duetto finale, il cui testo compariva già nel Pastor regio di Ferrari (1641) e sarebbe tornato nel Trionfo della fatica del Laurenzi (1647). Dopo decenni di studi e ricerche le versioni di Venezia e di Napoli restano non sovrapponibili, lasciando alla scelta degli esecutori la collazione dei numeri da eseguire. I casi più vistosi, come la scelta di una delle due sinfonie o l’inserimento o meno del coro degli Amori al termine (alla Scala si concluderà con il duetto), sono solo una piccola parte delle decisioni che il direttore deve assumere. Entrambe le partiture, inoltre, non indicano quali e quanti strumenti utilizzare e neppure da quali voci far interpretare i diversi personaggi. 
Poppea alla Scala
A lungo dimenticata, L’incoronazione di Poppea torna alla vita nel 1905 grazie alla passione del compositore Vincent d’Indy, che organizza e dirige un’esecuzione in forma di concerto al Conservatorio di Parigi. La prima italiana moderna avviene nel 1917 al Liceo Musicale di Torino, ma va ricordata l’esecuzione in forma scenica del 1937 al Giardino di Boboli per la regia di Corrado Pavolini: dirige Gino Marinuzzi, cantano tra gli altri Gina Cigna, Magda Olivero e Tancredi Pasero. Alla Scala la Poppea arriva nel 1953 nella revisione e strumentazione di Giorgio Federico Ghedini, con Carlo Maria Giulini a dirigere Carla Petrella come protagonista, Rolando Panerai come Ottone e Mario Petri come Seneca in uno spettacolo di Margherita Wallmann. L’edizione successiva, nel 1967, è diretta da Bruno Maderna e riprende la revisione di Giacomo Benvenuti già ascoltata a Boboli trent’anni prima. Un cast sontuosissimo formato da Grace Bumbry (Poppea), Giuseppe di Stefano (Nerone, in alternanza con Renato Gavarini) e Leyla Gencer (Ottavia) anima un nuovo allestimento firmato dalla Wallmann. Nel 1978 Nikolaus Harnoncourt porta alla Scala la fortunata messa in scena di Jean-Pierre Ponnelle di cui esiste anche documentazione cinematografica. Harnoncourt cura personalmente la revisione, cantano Rachel Yakar (Poppea), Vincenzo Taramelli (Nerone), il controtenore Paul Esswood (Ottone) e Matti Salminen come Seneca. Anche Alberto Zedda nel 1994 è revisore e direttore d’orchestra. Le voci, tutte italiane, comprendono Anna Caterina Antonacci nel ruolo del titolo, William Matteuzzi come Nerone e Bernadette Manca di Nissa come Ottone.   
Fattitaliani

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