Il mistero dei cassonetti di Palermo: troppi e troppo pochi

Ultimo giorno di una lunga vacanza a Palermo.

Carico in macchina un cartone pieno di carta pazientemente differenziata, che va a raggiungere gli altri due che porto a spasso da alcuni giorni in attesa del colpo di fortuna che mi farà imbattere in un cassonetto "dedicato" Mi metto al volante, determinato come Rambo, con un solo obiettivo: trovare il maledetto cassonetto e fare felice chi la carta la ricicla, o almeno il governatore Crocetta che dice che con il secco si possono fare i soldi.
Mia moglie, che mi accompagna nell'avventura, tira subito fuori un'idea: "Andiamo in via Partanna Mondello, ci sono dei cassonetti vicinissimi all'autoparco RAP, lì per lo meno ce ne sarà uno per la carta... ce lo avranno messo di sicuro, se non altro per evitare la malafiura".
Chiarisco due cosine per i non palermitani:
- 1) L'autoparco RAP non è un posto dove sei accolto da gente che si esprime con quel "particolare genere musicale di origine statunitense, basato su un ritmo molto sincopato e uniforme, a cui si accompagna la voce del cantante, cadenzata in una cantilena parlata"; RAP sta invece per Risorse Ambiente Palermo, anche se ci sono malelingue che decodificano l'acronimo come "Rifiuti Accumulati Palermitani".
- 2) "Malafiura" in siciliano sta per "figuraccia" (ma secondo me "malafiura" è più bello).

Andiamo, e constatiamo che la prossimità dell'autoparco RAP non ha fatto il miracolo: il cassonetto per la carta non c'è nemmeno lì.
Però...
...però ci sono ben due cassonetti dedicati alla raccolta di indumenti usati.
Uno della RAP, l'altro anonimo.
Uno accanto all'altro, quasi a farsi concorrenza.
Improvvisamente mia moglie ed io realizziamo che la zona, in cui la RAP è avarissima di cassonetti per la raccolta della carta, necessari al "programma differenziata" che tutti dicono di volere, pullula di cassonetti per la raccolta di indumenti.
Decidiamo di contarli, e facciamo un percorso di circa 2500 metri, da via Partanna a via Pindaro.
Risultato: contiamo ben 10 (dieci!) raccoglitori per gli indumenti, di cui:
- 6 RAP
- 3 anonimi
- 1 di una certa APAS "Associazione Protezione Ambientale e Servizi".
La RAP è quella più di bocca buona, perché accetta di tutto: "indumenti, biancheria, cinture, scarpe, borse e giocattoli" senza pretendere che siano in buono stato. Gli altri invece si raccomandano, tutto deve essere in buone condizioni. Beh, se il materiale serve per beneficienza, è più che comprensibile, no?

Io però ho in mente una curiosità e il ricordo di recenti fatti romani.

La curiosità la sintetizzo in un interrogativo:
- Come mai la RAP, che è cronicamente senza soldi, investe tanto in costosi raccoglitori per indumenti usati, e così poco nei tanto necessari cassonetti per la carta? La cosa appare tanto più incomprensibile se si pensa che la carta dovrebbe essere una fonte di guadagno mentre gli indumenti usati, almeno nell'immaginario collettivo, dovrebbero essere utilizzati per i poveri. A meno che non sia così, e sugli indumenti (e cinture/borse/scarpe eccetera) ci si guadagni di più. E allora si capirebbe l'investimento della RAP, e al diavolo la raccolta della carta (ho detto "si capirebbe", non "si condividerebbe").
Però a quel punto rimarrebbe da spiegare la logica della coesistenza, fianco a fianco, di una folla di contenitori RAP, contenitori APAS e contenitori anonimi.
Badiamo bene, il fatto che non si capisca il fenomeno non significa che ci sia sotto qualcosa, per carità; ma quantomeno mi pare che un poco di confusione ci sia, e sarebbe certamente il caso, per la tranquillità di tutti - soprattutto di chi dà gli indumenti pensando che andranno gratuitamente ai poveri - chiarire. Non si può ignorare infatti quanto riporta un'inchiesta di Repubblica del 16 gennaio 2015: "Ogni anno circa 10mila tonnellate di vestiti finiscono nei cassonetti gialli presenti in tutte le città italiane. Ma solo una piccola parte arriva a chi ne ha davvero bisogno o viene utilizzata per sostenere progetti di solidarietà. Su questo enorme giro d'affari, grazie a regolamenti poco chiari e all'assenza di controlli, spuntano molte associazioni ambigue e la stessa criminalità organizzata. Come confermano anche gli ultimi sviluppi dell'inchiesta su Mafia Capitale che hanno portato all'arresto di 14 persone."
Insomma, se la RAP ci facesse sapere come stanno le cose ne saremmo tutti contenti, e la raccolta di indumenti la faremmo più volentieri.
A proposito, poi un contenitore per la carta l'abbiamo trovato. In effetti l'avevano trovato anche centinaia di persone prima di noi, mentre a quanto pare non riesce più a trovarlo la RAP. Se no non si spiegherebbe l'enorme quantità di carta che c'era dentro, sopra, ai lati... e anche più in là. Roba da farci una cartiera accanto.

Da ulteriori informazioni pervenute sembrerebbe che non si tratti di una raccolta a favore dei poveri, ma di un business in cui una ditta che ha vinto una gara d'appalto con RAP, la Cannone srl, ricicla e vende i capi d'abbigliamento e affini  recuperati. Quindi da una parte abbiamo i contenitori "legali"; dall'altra contenitori non autorizzati, ma che nessuno toglie. Perché rimangono lì? In genere, quando i diritti di una azienda non sono efficacemente difesi è per uno dei motivi seguenti: 1) a quelli che dovrebbero farlo non gliene frega niente; 2) quelli che dovrebbero farlo, magari lo farebbero, ma la prudenza consiglia di non esporsi; 3) quelli che dovrebbero farlo, ci provano, magari con tutte le proprie forze, ma le autorità che dovrebbero garantirli non fanno niente (o perché non gliene frega niente, o perché prudenza consiglia eccetera eccetera). Chissà il nostro caso a quale motivazione risponde. Comunque una tiratina d'orecchi alla RAP gliela darei per un altro motivo. Mi riferisco alla scritta "Non essere indifferente" che campeggia sul loro contenitore, quello "legale". Una scritta che, marketing docet, fa appello subliminalmente, ma neanche tanto subliminalmente, alla corda della generosità della gente. Ditemi voi chi non viene indotto a credere che la roba che si raccoglie è destinata a poveri. Certo, magari chi l'ha messa obietterà "I poveri? Ma nooo, che va pensando lei, noi parlavamo dell'ambienteeee... !" Ma la gente ci vede un tentativo di fare leva sui buoni sentimenti verso i più disgraziati per migliorare la qualità e la quantità della raccolta.  
Carlo Barbieri

Carlo Barbieri è uno scrittore nato a Palermo. Ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, il Cairo e adesso fa la spola fra Roma e la Sicilia. Un “Siciliano d’alto mare” secondo la definizione di Nisticò che piace a Camilleri, ma “con una lunga gomena che lo ha sempre tenuto legato alla sua terra”, come precisa lo stesso Barbieri. Scrive su Fattitaliani, NitroNews, Il Fatto Bresciano, QLnews, Sicilia Journal e Malgrado Tutto, testata su cui hanno scritto Sciascia, Bufalino e Camilleri. Ha scritto fra l’altro “Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non”, i gialli “La pietra al collo” (Todaro Editore, ripubblicato da IlSole24Ore) e “Il morto con la zebiba” (candidato al premio Scerbanenco) e “Uno sì e uno no”, una raccolta di racconti pubblicata da D. Flaccovio Editore. Suoi scritti sono stati premiati alla VI edizione del Premio Internazionale Città di Cattolica, al IV Premio di letteratura umoristica Umberto Domina e alla VII edizione del Premio Città di Sassari e al Premio Città di Torino. I suoi libri sono reperibili anche online, in cartaceo ed ebook, su LaFeltrinelli.it e altri store. 
Fattitaliani

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