Teatro, Fattitaliani intervista Mariano Rigillo "Re Lear" al Globe Theatre di Roma fino al 3 luglio

"Re Lear" è il primo appuntamento della stagione promossa dalla Fondazione Toti e diretta da Gigi Proietti. Sul palcoscenico del Globe Theatre di Villa Borghese, nei panni del protagonista c'è Mariano Rigillo. Il patto tra il Padre (Lear) e la figlia prediletta (Cordelia) si spezza quando lei non pronuncia le parole che Lear avrebbe voluto ascoltare. Lei così giovane e così arida si è sottratta all’obbedienza e diventa estranea per sempre nel cuore di Lear. Il dolore può sconvolgere la ragione ed è quello che avviene in Lear, Sovrano arrogante ma con una grande nobiltà d’animo, insignito del “diritto divino” alla Sovranità che gli fa confondere la realtà e lo porterà alla rovina. Portatore straordinario del suo dolore e della sua follia è Mariano Rigillo. L'intervista di Fattitaliani.

Lear è un Re arrogante poi c’è la catarsi con la follia. Cosa succede? 
E’ la porta d’ingresso in una nuova natalità. Re Lear attraverso la sua follia è come se ridiventasse bambino e ricominciasse una nuova vita solo che la ripercorre all’indietro fino alla morte. L’arroganza non è del tutto caratteriale ma ha parentela con quello che in Inghilterra all’epoca di Shakespeare si diceva ma si dice anche oggi “il diritto divino dei Re” in qualche modo i Re inglesi erano un po’ considerati come l’incarnazione di una Divinità. Questa specie di diritto divino alla Sovranità fa in modo che Lear arrivi a quel vertice di arroganza che non gli farà vedere la realtà e lo porterà alla rovina.
Pur essendo un Re equo fin dalle sue prime battute capiamo che agisce per predilezione soprattutto nei confronti di Cordelia. 
Lui in realtà lo manifesta anche all’inizio in una scena che noi non recitiamo, c’è una battuta che pronuncia quando decide di farla parlare “Stupefacente come abbia fatto in modo di dividere questo Regno in tre parti talmente precise, talmente uguali che non ci sarebbe niente da dire” e poi volgendosi a Cordelia “Cosa ci dirai per assicurarti il pezzo più opulento rispetto alle tue sorelle?” E’ chiaro che ha fatto una scelta di predilezione, le terre sono tutte uguali ma probabilmente quelle destinate a Cordelia sono particolarmente fertili. Quando Cordelia risponde “di amare tanto Lear quando una figlia può amare un padre”, questo modo della figlia di parlare franco, lo spiazza totalmente ed arriva ad una “scenata” perché questa figliola minore, essendo stata trattata in maniera particolare e più affettuosamente rispetto alla spartizione del Regno e che immaginava avrebbe alleviato la sua vecchiaia, lo delude.
Lear è una tragedia tra le più cupe, senza speranza. C’è possibilità di salvezza in questo vortice di malvagità? 
C’è salvezza nella presa di coscienza di Edgar il figlio legittimo del Conte di Gloucester di come bisogna governare con grande attenzione. Infatti lui che diventerà Re dopo Lear dirà “noi giovani non vivremo a lungo ma abbiamo molto capito di questa vita e ci servirà per amministrare bene il regno”. La salvezza è solo questa. L’esperienza del male fa sì che le generazioni dovrebbero andare a migliorare sempre. La Storia purtroppo ci smentisce.
Chi è oggi Lear? Dove si nasconde? 
Secondo me oggi Lear non esiste perché questa sua arroganza, questo suo iperbolico percorso di potere conserva comunque una grande nobiltà d’animo, cosa che oggi oggettivamente non trovo in nessuno. Trovo che da qualche anno a questa parte stiamo peggiorando sempre di più. E’ vero che è lo stesso Shakespeare a dire “Non si tocca mai il fondo fino a quando possiamo dire abbiamo toccato il fondo” è proprio una battuta di Re Lear. E’ vero anche che oggi siamo in una situazione di squallore a cominciare dal nostro Paese, parlo della considerazione della nostra Cultura, del nostro lavoro ed in particolare del nostro Teatro, siamo in mano ad incompetenti e strafottenti assoluti. Se volgiamo lo sguardo a quello che sta succedendo nel mondo. Se pensiamo che l’America tra qualche mese rischia di essere amministrata da Trump, veramente non c’è più religione. Come può l’America eleggere uno che non ha niente di umano, di logico. Mi chiedo come mai quest’America dopo aver avuto un Presidente come Obama che ha dato alla Nazione determinati privilegi, possa fare una scelta simile.
Ieri sera ho visto TG3 notte e mi è dispiaciuto che l’abbiano interrotta. Il servizio Pubblico non dovrebbe interrompere chi parla di cultura. 
Certo perché se m’invita a parlare dello spettacolo mi deve lasciare lo spazio per farlo. Purtroppo ho parlato solo nell’impeto del dispiacere, della rabbia. Avrei potuto parlare molto meglio e molto più serenamente ed essere anche più accattivante per il pubblico mentre invece sono stato non preciso per come si è svolta la serata. Si parlava della Brexit ma se da quello si vuole parlare anche di Re Lear, bisogna trovare il modo di farlo.
Vorrei appunto riallacciarmi ad una cosa che ha detto ieri sera “Fare cultura significa ritrovare l’identità del proprio Paese”. 
Credo che sia vero perché ciascun Paese si distingue nella sua identità per la Cultura che produce. Non è fatta dalle Banche e dai soldi che produce. Noi per fortuna abbiamo avuto anni in cui ne abbiamo prodotta tanta, forse non eravamo ancora un’Italia unita, avevamo il Granducato di Toscana, il Regno delle due Sicilie, però in quel periodo lì ne abbiamo prodotta tanta. Adesso ci stiamo adeguando a questa Europa delle Banche che rischiano di stare sull’orlo del baratro. Di Cultura sui giornali non se ne parla più. Se apriamo la pagina di spettacoli di un quotidiano, si parla di un Divo americano che canta la canzone della libertà, si parla di televisione ma del Teatro non se ne parla più.
Spesso il grido di dolore di quasi tutti quelli che fanno cultura è “Il Teatro è in crisi, il Teatro è morto”. Cosa ne pensa? 
E’ assolutamente vero. Il Teatro che si fa è grazie al nostro entusiasmo, alla nostra passione, al fatto che forse non sappiamo fare altro. Quel poco Teatro che si vede è solo frutto del nostro entusiasmo personale ed anche della rimessa economica di alcuni di noi perché lo Stato fa di tutto per ucciderci, in particolare a noi che facciamo Teatro Privato ma anche a quello Pubblico. Si è creduto di fare dei monumenti dei Teatri nazionali ma in realtà sono dei sacrari. Un teatro è obbligato ad occupare l’80% del tempo con la sua attività, quindi noi privati non sappiamo dove andare e siamo vittime anche noi di Parametri assolutamente iniqui. Se lei pensa che le possibilità contributive di una Compagnia sono calcolate da un algoritmo, siamo alla follia assoluta. Si può parlare di Teatro e di algoritmo allo stesso tempo? Non so chi abbia messo in campo questo metodo di valutazione. Gli Enti Pubblici non danno i soldi, non capisco come le Regioni, I Comuni, le Province che sono soci fondatori dei Teatri Stabili ed in quanto tali devono mettere la loro quota di partecipazione. Non capisco perché non si obbligano coattivamente a farlo, così come si obbliga un condomino a pagare la sua quota. Quando anni fa partecipai con De Fusco al Festival delle Ville Vesuviane, De Fusco trovò un Partner francese per il gemellaggio. Quando arrivò questo Direttore mi chiese quanto tempo prima lo Stato dava i contributi per fare il Festival ed io rimasi a bocca aperta. Risposi che non ci dava nulla prima e forse ci avrebbe dato qualcosa dopo con interessi passivi ai quali siamo obbligati a ricorrere perché per fare il Festival dobbiamo chiedere anticipazioni. Lui disse che loro li ricevevano almeno un anno prima in modo che potessero usare anche gli interessi di quell’anno. Non so quanto sia vera l’affermazione ma sono testimone che l’ho ascoltata con le mie orecchie. E’ chiaro che il Teatro come mezzo di comunicazione artistica non morirà mai, l’elemento interattivo tra gli umani è il Teatro, non ce ne sono altri. Si farà solo in base al desiderio, alla voglia dell’attore di comunicare ed apprendere qualche cosa. Il travaso è reciproco.
A proposito di apprendimento, cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse intraprendere la carriera teatrale? 
Lo sconsiglierei subito ma dico anche che se c’è la passione che è l’elemento fondamentale del nostro lavoro, senza passione si soccombe, oggi come oggi specialmente. E’ molto diverso da quando iniziai io ma se si ha veramente passione si finisce per farlo. Chiaramente consiglierei di studiare perché il nostro è un lavoro di studio, è un continuo, non si finisce mai, ancora adesso io studio, insegno qualcosa ai giovani della Compagnia ma nello stesso tempo apprendo da loro.

Elisabetta Ruffolo

Con Mariano Rigillo: Anna Teresa Rossini, Silvia Siravo, Roberto Pappalardo, Luigi Tabita, Sebastiano Tringali, David Coco, Giorgio Musumeci, Enzo Gambino, Filippo Brazzaventre, Cesare Biondolillo.
La regia è di Giuseppe Dipasquale. Compagnia/Produzione: Teatro Stabile di Napoli/Teatro Stabile di Catania.
Fattitaliani

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