"Re Lear" è il primo appuntamento della stagione promossa dalla Fondazione Toti e diretta da Gigi Proietti. Sul palcoscenico del Globe Theatre di Villa Borghese, nei panni del protagonista c'è Mariano Rigillo. Il patto tra il Padre
(Lear) e la figlia prediletta (Cordelia) si spezza quando lei non
pronuncia le parole che Lear avrebbe voluto ascoltare. Lei così
giovane e così arida si è sottratta all’obbedienza e diventa
estranea per sempre nel cuore di Lear. Il dolore può sconvolgere la
ragione ed è quello che avviene in Lear, Sovrano arrogante ma con
una grande nobiltà d’animo, insignito del “diritto divino”
alla Sovranità che gli fa confondere la realtà e lo porterà alla
rovina. Portatore straordinario del suo dolore e della sua follia è
Mariano Rigillo. L'intervista di Fattitaliani.
Lear è un Re
arrogante poi c’è la catarsi con la follia. Cosa succede?
E’
la porta d’ingresso in una nuova natalità. Re Lear attraverso la
sua follia è come se ridiventasse bambino e ricominciasse una nuova
vita solo che la ripercorre all’indietro fino alla morte.
L’arroganza non è del tutto caratteriale ma ha parentela con
quello che in Inghilterra all’epoca di Shakespeare si diceva ma si
dice anche oggi “il diritto divino dei Re” in qualche modo i Re
inglesi erano un po’ considerati come l’incarnazione di una
Divinità. Questa specie di diritto divino alla Sovranità fa in modo
che Lear arrivi a quel vertice di arroganza che non gli farà vedere
la realtà e lo porterà alla rovina.
Pur essendo un Re equo
fin dalle sue prime battute capiamo che agisce per predilezione
soprattutto nei confronti di Cordelia.
Lui in realtà lo
manifesta anche all’inizio in una scena che noi non recitiamo, c’è
una battuta che pronuncia quando decide di farla parlare
“Stupefacente come abbia fatto in modo di dividere questo Regno in
tre parti talmente precise, talmente uguali che non ci sarebbe niente
da dire” e poi volgendosi a Cordelia “Cosa ci dirai per
assicurarti il pezzo più opulento rispetto alle tue sorelle?” E’
chiaro che ha fatto una scelta di predilezione, le terre sono tutte
uguali ma probabilmente quelle destinate a Cordelia sono
particolarmente fertili. Quando Cordelia risponde “di amare tanto
Lear quando una figlia può amare un padre”, questo modo della
figlia di parlare franco, lo spiazza totalmente ed arriva ad una
“scenata” perché questa figliola minore, essendo stata trattata
in maniera particolare e più affettuosamente rispetto alla
spartizione del Regno e che immaginava avrebbe alleviato la sua
vecchiaia, lo delude.
Lear è una tragedia
tra le più cupe, senza speranza. C’è possibilità di salvezza in
questo vortice di malvagità?
C’è salvezza nella presa di
coscienza di Edgar il figlio legittimo del Conte di Gloucester di
come bisogna governare con grande attenzione. Infatti lui che
diventerà Re dopo Lear dirà “noi giovani non vivremo a lungo ma
abbiamo molto capito di questa vita e ci servirà per amministrare
bene il regno”. La salvezza è solo questa. L’esperienza del male
fa sì che le generazioni dovrebbero andare a migliorare sempre. La
Storia purtroppo ci smentisce.
Chi è oggi Lear? Dove
si nasconde?
Secondo me oggi Lear non esiste perché questa sua
arroganza, questo suo iperbolico percorso di potere conserva comunque
una grande nobiltà d’animo, cosa che oggi oggettivamente non trovo
in nessuno. Trovo che da qualche anno a questa parte stiamo
peggiorando sempre di più. E’ vero che è lo stesso Shakespeare a
dire “Non si tocca mai il fondo fino a quando possiamo dire abbiamo
toccato il fondo” è proprio una battuta di Re Lear. E’ vero
anche che oggi siamo in una situazione di squallore a cominciare dal
nostro Paese, parlo della considerazione della nostra Cultura, del
nostro lavoro ed in particolare del nostro Teatro, siamo in mano ad
incompetenti e strafottenti assoluti. Se volgiamo lo sguardo a quello
che sta succedendo nel mondo. Se pensiamo che l’America tra qualche
mese rischia di essere amministrata da Trump, veramente non c’è più religione.
Come può l’America eleggere uno che non ha niente di umano, di
logico. Mi chiedo come mai quest’America dopo aver avuto un
Presidente come Obama che ha dato alla Nazione determinati privilegi,
possa fare una scelta simile.
Ieri sera ho visto TG3
notte e mi è dispiaciuto che l’abbiano interrotta. Il servizio
Pubblico non dovrebbe interrompere chi parla di cultura.
Certo
perché se m’invita a parlare dello spettacolo mi deve lasciare lo
spazio per farlo. Purtroppo ho parlato solo nell’impeto del
dispiacere, della rabbia. Avrei potuto parlare molto meglio e molto
più serenamente ed essere anche più accattivante per il pubblico
mentre invece sono stato non preciso per come si è svolta la serata.
Si parlava della Brexit ma se da quello si vuole parlare anche di Re
Lear, bisogna trovare il modo di farlo.
Vorrei appunto
riallacciarmi ad una cosa che ha detto ieri sera “Fare cultura
significa ritrovare l’identità del proprio Paese”.
Credo che
sia vero perché ciascun Paese si distingue nella sua identità per
la Cultura che produce. Non è fatta dalle Banche e dai soldi che
produce. Noi per fortuna abbiamo avuto anni in cui ne abbiamo
prodotta tanta, forse non eravamo ancora un’Italia unita, avevamo
il Granducato di Toscana, il Regno delle due Sicilie, però in quel
periodo lì ne abbiamo prodotta tanta. Adesso ci stiamo adeguando a
questa Europa delle Banche che rischiano di stare sull’orlo del
baratro. Di Cultura sui giornali non se ne parla più. Se apriamo la
pagina di spettacoli di un quotidiano, si parla di un Divo americano
che canta la canzone della libertà, si parla di televisione ma del
Teatro non se ne parla più.
Spesso il grido di
dolore di quasi tutti quelli che fanno cultura è “Il Teatro è in
crisi, il Teatro è morto”. Cosa ne pensa?
E’ assolutamente
vero. Il Teatro che si fa è grazie al nostro entusiasmo, alla nostra
passione, al fatto che forse non sappiamo fare altro. Quel poco
Teatro che si vede è solo frutto del nostro entusiasmo personale ed
anche della rimessa economica di alcuni di noi perché lo Stato fa di
tutto per ucciderci, in particolare a noi che facciamo Teatro Privato
ma anche a quello Pubblico. Si è creduto di fare dei monumenti dei
Teatri nazionali ma in realtà sono dei sacrari. Un teatro è
obbligato ad occupare l’80% del tempo con la sua attività, quindi
noi privati non sappiamo dove andare e siamo vittime anche noi di
Parametri assolutamente iniqui. Se lei pensa che le possibilità
contributive di una Compagnia sono calcolate da un algoritmo, siamo
alla follia assoluta. Si può parlare di Teatro e di algoritmo allo
stesso tempo? Non so chi abbia messo in campo questo metodo di
valutazione. Gli Enti Pubblici non danno i soldi, non capisco come
le Regioni, I Comuni, le Province che sono soci fondatori dei Teatri
Stabili ed in quanto tali devono mettere la loro quota di
partecipazione. Non capisco perché non si obbligano coattivamente a
farlo, così come si obbliga un condomino a pagare la sua quota.
Quando anni fa partecipai con De Fusco al Festival delle Ville
Vesuviane, De Fusco trovò un Partner francese per il gemellaggio.
Quando arrivò questo Direttore mi chiese quanto tempo prima lo Stato
dava i contributi per fare il Festival ed io rimasi a bocca aperta.
Risposi che non ci dava nulla prima e forse ci avrebbe dato qualcosa
dopo con interessi passivi ai quali siamo obbligati a ricorrere
perché per fare il Festival dobbiamo chiedere anticipazioni. Lui
disse che loro li ricevevano almeno un anno prima in modo che
potessero usare anche gli interessi di quell’anno. Non so quanto
sia vera l’affermazione ma sono testimone che l’ho ascoltata con
le mie orecchie. E’ chiaro che il Teatro come mezzo di
comunicazione artistica non morirà mai, l’elemento interattivo tra
gli umani è il Teatro, non ce ne sono altri. Si farà solo in base
al desiderio, alla voglia dell’attore di comunicare ed apprendere
qualche cosa. Il travaso è reciproco.
A proposito di
apprendimento, cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse
intraprendere la carriera teatrale?
Lo sconsiglierei subito ma
dico anche che se c’è la passione che è l’elemento fondamentale
del nostro lavoro, senza passione si soccombe, oggi come oggi
specialmente. E’ molto diverso da quando iniziai io ma se si ha
veramente passione si finisce per farlo. Chiaramente consiglierei di
studiare perché il nostro è un lavoro di studio, è un continuo,
non si finisce mai, ancora adesso io studio, insegno qualcosa ai
giovani della Compagnia ma nello stesso tempo apprendo da loro.
Elisabetta Ruffolo
Con Mariano Rigillo: Anna Teresa Rossini, Silvia Siravo, Roberto Pappalardo, Luigi Tabita, Sebastiano Tringali, David Coco, Giorgio Musumeci, Enzo Gambino, Filippo Brazzaventre, Cesare Biondolillo.
La regia è di Giuseppe Dipasquale. Compagnia/Produzione: Teatro Stabile di Napoli/Teatro Stabile di Catania.