La
singolarità della mostra “Tandem”
che si aprirà giovedì 26 marzo nelle
sale borrominiane di Palazzo Falconieri, sede dell’Accademia d’Ungheria di Roma,
non è solo perché Alberto Baumann
e Eva Fischer hanno passato più di mezzo secolo assieme (che oggi
costituisce già una rarità), ma per la loro completa diversità di espressione
nel rappresentare il loro passato, accomunato dalle rispettive sofferenze
dettate prima dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle persecuzioni razziali,
successivamente dall’epoca della ricostruzione e dal “boom”, mentre il mondo
culturale si confrontava nelle strade romane racchiuse fra piazza del Popolo e piazza di Spagna.
Con
la stessa difformità Eva e Alberto hanno rappresentato il loro presente
assieme, spesso con lo stesso sdegno e gli eguali timori per un mondo che
lentamente andava perdendo il valore della civiltà ritrovata dopo i tragici
eventi della prima metà del XX secolo.
I
loro estri si sono vicendevolmente arricchiti lungo gli anni assieme ed i
rispettivi racconti di vita antecedente, forgiando una sorta di continua
ricarica espressionistica. Alberto è
passato dal giornalismo alla poesia ed
ai racconti. Verso gli inizi degli anni ’80 il lungo percorso dei suoi
“Elzeviri” è sfociato nell’arte. I suoi versi si sono tramutati in colori, le malinconie e le gioie sono diventate la flessibile anima del ferro.
La Fischer – nota anche come ultima rappresentante la Scuola
Romana del dopoguerra - ha
continuato ad esprimere il suo tocco attraverso
i suoi “Momenti Pittorici”: dalle
sue “Barche” ai “Paesaggi Mediterranei”, dalle celebri storie di “Biciclette” nei
“Mercati” all’adorazione per la Città Eterna, dalle “Orchestre” alla “Musica di
Morricone. Costante soggetto di alcune sue opere quel diario segreto
rappresentante la “Shoah”. In questa mostra verranno esposte soltanto le opere
relative al suo ultimo soggetto: le “Scuole di Ballo”, con quadri
principalmente di grandi dimensioni, ultimi dei quali dipinti a 87 anni.
La
vera particolarità di questa coppia di artisti è che nel loro Tandem entrambi stavano seduti davanti, pedalando e scegliendo assieme la strada da percorrere.
La
mostra è presentata dal Direttore dell’Accademia d’Ungheria Antal Molnar, dal Curatore della
galleria dell’Accademia Pál Németh e
dal critico d’arte Francesca Pietracci.
Si concluderà il 7 maggio con un concerto del pianista M° Gianluca Podio, che eseguirà un estratto dal CD dedicato a Eva Fischer da Ennio
Morricone, alcuni suoi brani
composti ispirandosi alle opere
degli artisti ed una rassegna di colonne
sonore di compositori italiani.
“Tandem - pedalate e
pennellate di Alberto Baumann e Eva Fischer”
Istituto Balassi – Accademia
d’Ungheria – Palazzo Falconieri - Via Giulia 1,
Roma
Vernissage giovedì 26 marzo
– ore 19.30
Finissage giovedì 7 maggio
ore 20.30 con concerto per pianoforte del Maestro Gianluca Podio
Orari: dal lunedì al venerdì
8.30-19.30
Sabato e domenica dalle
10.00 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 18.00
Maggiori informazioni sugli
artisti su www.albertobaumann.com e www.evafischer.com
Biografie
Alberto Baumann è nato a Milano nel 1933, ma è cresciuto in Toscana. All’inizio degli
anni cinquanta è stato adottato dalla città di Roma, dove si è spento il 1°
novembre 2014.
Dopo la nascita di Alberto, la famiglia si stabilì a Montecatini Terme.
La madre Estelle, scomparve quando aveva sei anni. Il padre Alessandro -
giornalista ungherese ed inviato di guerra nel primo conflitto mondiale del XX
secolo -, fu spedito al confino dal regime fascista in quanto ebreo, apolide e
perché ne aveva rifiutato il distintivo. Alberto dovette perciò crescere con i
nonni e con la “banda” della sua strada, di cui era il più piccino.
Le peripezie di quegli anni hanno sempre accompagnano la sua estesa
fantasia, quasi nutrendola. Prima i
svariati modi per procurarsi del cibo, poi, per fuggire alle persecuzioni dei
nazisti che avevano occupato Montecatini, la fuga nelle campagne toscane ed il
rifugio presso dei gitani fiorentini, dai quali ha appreso varie arti circensi.
Culturalmente, come i più indottrinati geni artistici, Alberto Baumann
è stato cittadino di quel mondo perverso, senza scrupoli, duro, ma egualmente
tenero e romantico; preciso ma dispersivo e soprattutto insaziabile ed
infinito: quel mondo che ha per lui rappresentato il legame tra la fantasiosa
epopea artistica e la nuda realtà.
E' stato giornalista per gran parte della sua vita, iniziando come
corrispondente da Montecatini per La
Nazione di Firenze, poi collaborando con Il Mondo di Pannunzio e con L’Umanità
diretta da Aldo Garosci. E’ stato fra i fondatori del mensile Shalom. Scrittore e poeta, ha pubblicato
la selezione di racconti Se esco
vivo da qui (1969)
e le raccolte di poesie Il sapore delle cose (1968) e
Ti
presento il Signore Dio tuo (1970).
E' stato inoltre tra i precursori delle televisioni commerciali, collaborando
nell’organizzazione del palinsesto di una delle prime televisioni private di
Roma, la GBR, per la quale ha creato e diretto delle trasmissioni divenute poi
dei format di successo.
Dai primi anni Ottanta, ha espresso il suo estro attraverso la pittura
e la scultura: “... Se sei un poeta –
diceva -, anche dipingendo un quadro puoi scrivere dei versi”.
La sua opera pittorica si ispira al primo astrattismo, benché nelle sue
composizioni siano riconoscibili, in grado o misura diversi, elementi
figurativi che danno al suo discorso una personalissima piega filosofica di
origine letteraria, con diretti richiami a poeti come Paul Celan, Giuseppe
Dessì, Giacomo Noventa, Salvatore Quasimodo e ad amici come Sandro Penna,
Alfonso Gatto, Rafael Alberti. Fonte di ispirazione del suo agire di getto col
pennello sono anche le musiche di compositori a lui particolarmente cari quali
Chopin e Mahler, ma anche Max Bruch, Gershwin, Burt Bacharach e l’amico Ennio
Morricone; nonché le voci di Sinatra, Nat King Cole, Louis Armstrong, Ella
Fitzgerald, Dean Martin.
Anche gran parte delle sue sculture rappresentano le intuizioni
ricevute, ma a volte dettate, da musica, poesia e letteratura, dall’arte di cui
Baumann si nutriva e respirava sin dal suo arrivo a Roma negli anni cinquanta.
Le ha tramutate in totem di ferro, aggrovigliamenti di emozioni da palpare,
statue che gemono ad ogni sussurro del vento, pietre che sfidano le intemperie,
vortici che si incuneano nei pensieri.
La sua arte ha trovato immediatamente riscontro
positivo negli Stati Uniti d'America. Sono numerosi i suoi collezionisti in
California, Florida e a New York.
Con estrema naturalezza, Alberto Baumann ha giocato con le forme e i
colori, interpretando vari ruoli. I contendenti – rincorsi o rincorrenti –
rappresentano episodi di passione, ma anche di malavita, e tentano tutti di deviare il corso degli
eventi, strappandolo da una realtà spesso crudele ed “incollandolo” o
“materializzandolo” in segno di liberazione.
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Eva Fischer è nata a
Daruvar (Ex Jugoslavia), nel 1920.
Il padre Leopoldo, Rabbino Capo ed eccellente talmudista venne deportato dai nazisti. Sono più di trenta i familiari di Eva scomparsi nei lager.
Negli anni precedenti la guerra, Eva Fischer si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Lione e fece ritorno a Belgrado in tempo per subire i vandalici bombardamenti nazisti sulla città (1941) senza dichiarazione di guerra. Ebbe così inizio un periodo travagliato fatto di fughe e costellato da privazioni e duri sacrifici.
Insieme alla madre e al fratello minore, Eva venne internata nel campo di Vallegrande (Isola di Curzola) sotto amministrazione italiana che non conobbe (Eva è lieta di dirlo) ferocia alla pari di quella nazista. Per una malattia materna ebbe un permesso d’assisterla insieme al fratello, nell’ospedale di Spalato dove ancora ottenne un permesso di trasferirsi a Bologna. Eravamo nel 1943 ed Eva Fischer con i suoi si nascosero nella città sotto il falso nome di Venturi. Ella ricorda spesso quel tempo infausto ove però la mano dei buoni non si sottraeva al pericolo di dare aiuto e solidarietà ai perseguitati. Fu determinante allora l’aiuto di Wanda Varotti, Massimo Massei ed altri ancora del Partito d’Azione.
A guerra finita Eva Fischer scelse Roma come sua città d’adozione: intenso è l’amore che ella porta a questa città. Entrò immediatamente a far parte del gruppo di artisti di Via Margutta coi quali contrasse indelebili amicizie. Di quel periodo è la sua amicizia e consuetudine con Mafai e Guttuso, Tot, Campigli, Fazzini, Carlo Levi, Caporossi, Corrado Alvaro e tanti di quella generazione di artisti che avevano maturato idee luminose entro il buio della dittatura.
Intensa fu l’amicizia con De Chirico, Mirko, Sandro Penna e Franco Ferrara allora già brillante direttore d’orchestra; venne così il tempo di lunghe e notturne passeggiate romane anche con Jacopo Recupero, Cagli, Avenali, Giuseppe Berto e Alfonso Gatto nonché Maurice Druon non ancora ministro della cultura francese che andava scrivendo le pagine de “Le grandi famiglie”.
Fu in quel tempo che Dalì vide e s’innamorò dei
mercati di Eva mentre lo stesso Ehrenburg scrisse sulle “umili e orgogliose
biciclette”.
Con Picasso s’incontrarono nella bella casa di Luchino
Visconti parlando a lungo d’arte contemporanea e del sussulto intimo
che porta alla creatività. Picasso la esortò a progredire nella luce misteriosa
delle barche e delle architetture meridionali.
Venne così il tempo di Parigi dove Eva abitò a lungo a Saint Germain des Près e cercò di Marc Chagall divenendone amica devota e profonda ammiratrice. Egli le raccontava di sogni colorati nonché del fascino dei racconti biblici.
Zadkine ospitò generosamente Eva ammirandone il
coraggio d’una ricerca intensa e costruttiva e il fascino d’una cultura
mitteleuropea tutt’altro che trascurabile. In quell’epoca Eva Fischer realizzò
“paesaggi romani” con le loro trasparenze e lontananze come se il tempo si
fosse in qualche modo fermato sulle rovine della Città Eterna.
Dunque venne la volta di Madrid. Qui la pittura di Eva
Fischer – finalmente esposta nei musei – fu al centro di dibattiti nell’Atelier
di Juana Mordò fra l’artista marguttiana e i pittori spagnoli ancora in lotta
contro il franchismo. Eva portò loro la testimonianza di un’arte rinata in un
mondo libero fatta di tentativi nuovi, magri discutibili ma al cospetto di
tutti gli sguardi e tutti i giudizi.
Negli anni sessanta Eva Fischer fu a Londra dove espose nella più esclusiva Galleria della City, quella Lefevre che aveva concesso l’ultima “personale” al pittore italiano Modigliani. La Galleria Lefevre ospitò i quadri di Eva per i “suoi colori mediterranei e l‘italianità” delle sue tele. Il mondo della Fischer è fatto di brevi migrazioni ovunque il suo estro l’ha chiamata: da Israele ove dipinse mirabili tele di Gerusalemme e Hebron (molto note sono le vetrate del Museo israelitico di Roma) fino agli U.S.A. dove conta numerosi collezionisti ed estimatori, fra i quali gli attori Humphrey Bogart (fu la moglie Laureen Bacall a donargli la prima opera) e Henry Fonda.
Oggi che l’arte di Eva Fischer è conosciuta nel mondo,
ella parla di sé con assoluta modestia tipica di questa donna coraggiosa ed
intelligente, dallo sguardo pulito e profondo nonostante gli affronti degli
uomini in quei tempi disumani. Ella non condanna costoro con rabbia e vendetta
ma sì con questa mostra di quadri malinconici e grigi, con sguardi di uomini
stupiti prim’ancora che smarriti e di bambini immobili nel gelo dei vagoni
appiccicati a treni senza ritorno.