L’AQUILA - “Tutta colpa di Terry. E’
lui il mio sassolino nella scarpa. E, se proprio devo essere sincero,
è per togliermelo, che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè
di raccontare la vera storia della mia vita dissipata. Fra l’altro,
mettendomi a scribacchiare questo racconto, violo un giuramento
solenne, ma non posso non farlo”.
Erano passati quattro anni abbondanti,
dall’ultima volta che aveva partecipato ad un convegno sul futuro
della città. Tanto che non ricordava nemmeno più, di quale futuro
si parlasse allora. Nel frattempo, la sua vita era molto cambiata.
Però, stavolta, aveva deciso di andare ad ascoltare. Iniziava un
nuovo anno; i buoni propositi erano ancora di moda: informarsi di
più, partecipare. Aveva deciso perciò di prendersi l’ultimo
giorno di ferie rimasto dal 2014, e usarlo. Aveva chiesto al
Direttore del suo ufficio se la sua assenza avesse comportato
problemi sul lavoro, ed aveva ricevuto una risposta rassicurante.
Quindi, aveva scritto una brevissima lettera di comunicazione
della richiesta di ferie e gliela aveva consegnata. Poi, ne aveva
data copia anche all’Ufficio Amministrazione, perché avvisasse
l’Ufficio Paghe, così da computare il giorno di ferie fruito, in
busta paga.
Il mattino arrivò all’Auditorium del
Parco. Entrò per primo. Per primo vide le persone poste alla
reception. Le persone alla reception di un Convegno, di qualunque
convegno, sono sempre donne, giovani, e indossano sempre scarpe col
tacco altissimo. Un convegno che si rispetti, non può iniziare senza
gonna e tacchi a spillo. La sala era vuota. Il rosso delle pareti, e
delle sedie, aveva un sottile profumo di resina fresca. Scelse una
sedia tra quelle dell’ultima fila, in alto. Per poter avere uno
sguardo d’insieme. Trascorsi pochi minuti, arrivò in sala il suo
vecchio amico Marcos. Che lo vide, dal basso, e lo salutò,
calorosamente.
- Allora ogni tanto esci dal tuo
guscio!
La sala rimbombò del suo vocione calvo
e barbuto. Sedette vicino a lui. Lo guardò ridacchiando.
- Fammi capire… che ci fai qui?
- Sai, voglio ascoltare. Il Gran
Sasso Science Institute, organizza, e io sono curioso. Voglio capire
se esce fuori qualche idea interessante; voglio capire come
l’Istituto si colloca nel dibattito cittadino. Voglio guardare l’ex
Ministro, che sembra voler costruire una politica a partire dai
territori per poi far sintesi a Roma, e capire che relazione ha
con i rappresentanti politici aquilani, se di conflitto, o di
collaborazione. La Senatrice più importante, ad esempio, proprio
oggi, ha fatto pubblicare il testo di una sua lettera al
Sottosegretario alle Finanze, con delega alla ricostruzione, in cui
fa l’elenco delle cose che servono alla città. E quindi si pone,
classicamente, come mediatore delle risorse, tra Roma e L’Aquila.
Che, per carità, serve pure, ma io speravo che questa funzione
politica si fosse esaurita con gli anni ’80 del secolo scorso.
E quindi, si pone oggettivamente distante, dall’ex Ministro.
- E che fai, l’anima candida ?
Senza soldi non si fa niente.
- Vero. Ma i soldi senza progetto,
servono solo a finanziare i poteri e le clientele.
- Piantala. Se quella scrive che
servono i soldi per i Lavoratori precari del Comune tu che dici? Che
fa male?
- Io non lo so se fa male; direi una
stupidaggine se pretendessi di dare un giudizio su come quelle
persone sono state selezionate, da chi, come lavorano, cosa fanno e
quanto servono. Non ho informazioni sufficienti. Però, chiedo. Ma
quando tra dieci anni avremo ricostruito tutta L’Aquila (dieci
anni?), e avremo millemila dipendenti comunali, con quali risorse li
pagheremo?
- Hai rotto davvero. Ti leggo, sai,
quando scrivi le tue storielline su Facebook. Sempre a pensare a
quello che succederà tra cinque, dieci, quindici, venti anni, un
secolo. Guarda che tu vivi adesso! Adesso. Adesso la gente mangia,
lavora, è disoccupata. Adesso, mica fra dieci anni!
- Certo, adesso. Come adesso si
ristrutturano le case che dovranno resistere al prossimo terremoto
fra trecento anni. No? Con l’adeguamento sismico, che, adesso, è
pagato solo fino al 60% del possibile. E
non mi preoccupo, adesso, di arrivare
al 100% della sicurezza tecnicamente raggiungibile; e, invece di
arrabbiarmi per una legge sbagliata, o al limite decidere di cacciar
soldi di tasca mia, mi preoccupo invece di scegliere il
parquet per la stanza da letto, così quando calo dalla branda la
mattina, posso scendere a piedi nudi nel caldo e andare subito al
bagno senza cercare le ciabatte. E la prostata gode.
- Pure lo spiritoso mi fai ? Ma
allora ti fa bene startene solo solo nel tuo guscio…
Era l’orario di avvio dell’incontro
e iniziavano ad entrare le persone nella sala. Molti giovani, che non
aveva mai visto prima, forse dottorandi del Gran Sasso Science
Institute. Molti aprivano computer portatili e tablet. Era una
L’Aquila parzialmente diversa, da quella di quattro anni prima, ad
un Convegno nella sede ANCE, dove aveva ascoltato spiegare,
dall’allora Presidente della Regione Abruzzo, che L’Aquila
avrebbe avuto seri problemi a riuscire a spendere tutta la enorme
quantità di denaro che sarebbe piovuta sulla città per la
ricostruzione. E in tanti, al governo, all’opposizione, nel
sindacato, tra i costruttori, annuivano. Ed ancor più diversa dalla
platea radunata in un palasport a Rocca di Mezzo, nel 2005, per
la “ Fabbrica del Programma“, dedicata ai temi della Montagna.
C’erano Sindaci, allora, Associazioni Imprenditoriali, Cooperative,
tre Sindacati, politici, associazioni ambientaliste. I corpi
intermedi della società, a discutere di una elaborazione
nazionale, partendo da esperienze locali.
L’Aquila presente al Convegno era
fatta di cittadini e cittadine. Legami di conoscenza, magari di
comune impegno lavorativo o di studio. Ma, fondamentalmente, una
città molecolare. Fatta di solitudini, e di rapporti diretti, quando
possibili o voluti, tra rappresentanti e rappresentati. Era una
platea che si frequentava sui social network. Il Direttore del
GSSI avviò i lavori, auspicando che tutti i soggetti in campo nella
città, fossero capaci di muoversi insieme, coerentemente. Come se
fosse possibile conciliare interessi conflittuali, attraverso il
saggio uso della buona volontà. E non invece attraverso l’esercizio,
durissimo e responsabile, delle scelte di priorità, sulla base di
una visione vera e profonda del futuro della città. Ad aprire gli
interventi, fu chiamato un professore, che aveva già scritto sulla
città. Il sistema urbano europeo, raccontò, era sottoposto a
straordinari cambiamenti, passando attraverso momenti anche molto
duri, e, spiegava, le città che non riuscivano a comprendere il
contesto nel quale si stavano muovendo, a partire dalla crisi
fiscale, rischiavano enormemente.
Si rivolse a Marcos, a voce bassissima:
- Europa? Ma se qui, l’unica
Europa che interessa è quella che deve ratificare che non aver
pagato le tasse durante l’emergenza del sisma, non era “aiuto di
Stato”. Per il resto l’Europa è considerata fuffa
e burocrazia.
Marcos rispose:
- E pensa alla crisi fiscale. Sono
sei anni, che chiediamo, tutti, dal sindacato, al Sindaco, che per
L’Aquila non sia applicabile il Patto di Stabilità.
- Bèh, in un certo senso è pure
giusto: ci sono tasse locali che nessuno può o dovrebbe pagare.
- Avrai anche ragione, ma c’è
qualcuno che si preoccupi di verificare se, in condizioni “normali”,
anche L’Aquila non avesse qualche problemino di Bilancio ? Un
giorno, dovremo pur tornare alla “normalità”, no?
- Adesso che fai, sei tu che pensi ai
prossimi cinque, dieci o vent’anni? Non eri tu il teorico
dell’”adesso”?
- E’ proprio perché penso
all’”adesso” che te lo dico: guarda che, al prossimo giro di
Legge di Stabilità, magari non si giustificano più gli stanziamenti
a copertura dei buchi del bilancio comunale…
Semplicità, pertinenza, realismo, erano
le qualità necessarie, indicate dal professore, per trovare uno
spazio per L’Aquila, in ambito europeo. Su un piano economico,
quanto accadeva a L’Aquila, non era decisivo né per l’Italia, né
per l’Europa, sosteneva.
- Ma come ? L’Aquila non è
il più grande cantiere d’Europa?-,
scattò Marcos.
Indipendentemente dal sisma, L’Aquila,
per sopravvivere, per trovare una propria via di sviluppo, avrebbe
dovuto comunque cambiare traiettoria, rispetto al suo passato. Si
rivolse a Marcos:
- Vedi, quando te lo dicevo io…
che era fondamentale comprendere la continuità, tra quello che c’era
prima del terremoto, e quello che c’è dopo il terremoto. E non
tanto la discontinuità, creata dalla tragedia.
- Quando esci dal guscio, fai pure
il saputello?
- Guarda che io lo avevo scritto,
prima.
- Nostradamus de noantri…
- Lascia
perdere le battute. Tutti pensano come se il mondo iniziasse il sette
aprile del 2009. Io invece penso che dovremmo sempre ricordare bene
come era, il 5 aprile del 2009, per comprendere dove
stiamo andando ancora oggi.
- Mi sembra un giochetto di parole.
- E non lo è. Pensa all’affare
edilizio che si voleva fare, prima del terremoto, sull’area davanti
al motel Amiternum; e pensa a dove oggi vogliono fare la “stazione
dei bus “. Cambia il nome, non la sostanza delle cose. E la
sostanza è solo quella degli interessi particolari sul piano
urbanistico-edilizio. Quegli interessi che, ancora oggi, impediscono
che si faccia il nuovo Piano Regolatore, che, pure, secondo la Legge
77 del 2009, avrebbe dovuto essere fatto subito. “I comuni
dispongono la ripianificazione del territorio comunale “, recitava
la Legge!
Ogni comunità locale, sceglie il
proprio futuro, continuava il professore. Dentro un orizzonte di
Democrazia, e Partecipazione, diceva.
- E noi, dopo sei anni, avremo
l’Urban Center…-, quasi
urlò, Marcos.
- Forse. Forse discuterà il
Piano di Ricostruzione di Collebrincioni bassa.
E, fondamentale, sarà l’interazione
tra attori diversi, concludeva il professore. Con il tono di voce
dello sconfitto. Di chi aveva, in tempi ancora utili, indicato una
traiettoria possibile per la città. Cui però non era seguita alcuna
politica concreta. Nessun atto amministrativo conseguente. Nessuna
visione d’insieme, capace di dare agli sforzi della ricostruzione,
lo slancio del futuro possibile. Quello che aveva a suo tempo scritto
il professore, era solo uno dei tanti ipotetici futuri di questi
anni, nessuno dei quali, capace di avere un decente presente.
E nella testa, le tre parole
“semplicità, pertinenza, realismo”, rimbombavano. Cercava
di coniugarle con questioni concrete. E ne aveva scritto, tanto. Ma
quasi solo per sé stesso. Come fare i compiti a casa, da bambino,
senza un maestro che li correggesse. Senza un luogo collettivo dove
discutere, in realtà. Senza un confronto tra soggetti, e senza che
le elaborazioni passassero per mediazioni superiori, a livello
regionale, o nazionale, e poi europeo. Gli sembrava solo d’aver
provato, in quegli anni, a scalare un muro, per guardare oltre.
E ogni volta che riusciva a buttare lo sguardo oltre il confine di
mattoni, trovava solitudine.
Entrò la Senatrice meno importante. Una
volta, la presenza di un parlamentare, sarebbe stata annunciata dal
palco, e vi sarebbero stati applausi. Magari anche solo di cortesia.
Nella sala, solo qualche breve mormorio. Entrarono sindacalisti, in
ritardo, di due diversi sindacati. L'architetto movimentista
ciuciuettava,
con l'ingegnere capo dell'opposizione in Consiglio Comunale. La sala
era quasi piena, mentre gli interventi programmati della mattinata,
si susseguivano, più o meno precisamente, secondo tempi brevi già
stabiliti.
Ciascun intervento, avrebbe dovuto
raccontare un progetto, un lavoro svolto. Un futuro possibile. E,
ciascuno dei relatori, si sforzava di far questo. Per lui, che
osservava da lontano, cresceva però l’estraneità a quelle parole.
Era una sensazione disturbante. Poiché ogni volta che qualcuno
raccontava un pezzo di generosità e di impegno, immediatamente gli
salivano in gola richieste di chiarimento. Dubbi sui possibili
conflitti di interesse personali. Scenari in cui si raccontava di
fibre ottiche e linee di comunicazione futuribili ( di cui lui
ascoltava discussioni a partire dai primi anni ’90 del secolo
scorso ), e non si raccontava di quali aziende le avrebbero
progettate, e installate, e per fare cosa. Decisioni già
assunte su importanti immobili, proprietà di istituzioni pubbliche,
per un cambiamento delle loro destinazioni d’uso. E qualcuno che
aggiungeva che era esattamente così, che si sarebbe potuto costruire
un nuovo Piano Regolatore. Solo fotografando i punti di aggregazione,
che il mercato, o le decisioni singole di ciascuno stavano creando.
Una magia spontanea.
E anche i tanti soggetti che, con il
solo volontariato, intervenivano su questioni strutturali, come la
formazione o la scuola, con abnegazione, gli apparivano come anelli
di una catena che non legava nulla insieme. Perché non vi era un
discorso complessivo che intervenisse, contemporaneamente, su
ogni pezzo del panorama sconnesso che vedeva davanti a sé. Il
lavoro, meritorio magari, svolto su un territorio, non si saldava
con strategie nazionali, o europee, e con soggetti che ne
fossero portavoce ad un livello più alto. Tutto, gli appariva essere
chiuso dentro le mura della città.
La legge 366/1990 diceva che, sarebbero
dovuti esistere fondi a disposizione del trasferimento tecnologico,
che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, avrebbe dovuto e
potuto favorire, tra le proprie ricerche, e il tessuto di piccole e
medie imprese del territorio. Ma chi se lo ricordava? Di sicuro non
chi aveva parlato a nome dell’INFN. Chi avrebbe potuto magari
chiederne il rifinanziamento? Di sicuro non una rappresentanza
politica territoriale. Impegnata in altro. Era tutto, come se tutto,
ma proprio tutto, fosse la “prima volta”. E lui, in quella sala,
fosse l’unico reduce. Un ultimo, rimasto dentro una foresta a
combattere una guerra che era finita vent’anni prima.
Gli interventi della sessione del
mattino arrivavano a chiusura. Qualcuno dei suoi colleghi di lavoro
lo aveva scorto. Senza salutarlo. Naturalmente.
Si rivolse a Marcos e gli disse:
- Me ne vado. Torno nel
pomeriggio. Tienimi il posto, che mi sono affezionato a te.
- Ti perdi il buffet?
- Ho sempre dei problemi, quando mi
offrono qualcosa che penso di non meritare. Ci vediamo dopo, dai.
Arrivò un po’ più tardi del dovuto,
in realtà, nel pomeriggio. Quando già molti degli interventi
previsti erano stati pronunciati. Tuttavia, non fece fatica a
ritrovare un posto in alto, per continuare a guardare. Ora la platea
stava cambiando. Arrivavano, alla spicciolata, i rappresentanti delle
Istituzioni. Circondati da efficienti staff. E giornalisti.
Come già era accaduto in quasi tutte le
elaborazioni scritte, riguardanti il futuro della città, o in quasi
tutti i convegni pubblici, continuava a mancare un attore
fondamentale. Un attore che restava sempre in silenzio, e non
confrontava con nessuno le proprie strategie. E a cui nessuno,
peraltro, sembrava far caso. Una cosa quest’ultima, che giudicava
incredibile. Letteralmente incredibile. Neanche al convegno del Gran
Sasso Science
Institute, era presente il sistema
bancario. Nessuno se ne dava peso. L’allocazione delle risorse
finanziarie, decisa, o non decisa, dal sistema bancario, continuava
ad essere una variabile inutile nella discussione sul futuro della
città. Negli ultimi sei anni, a L’Aquila, e in Abruzzo, era
scomparsa, o quasi, una dimensione locale delle banche, e presto,
secondo le intenzioni del Governo, l’equilibrio trovato dal sistema
bancario locale e abruzzese, avrebbe potuto nuovamente cambiare
assetti proprietari e scelte. Ma tutto questo era ininfluente, in
qualunque discussione avesse, fino a quel momento, letto o
ascoltato sulla città dell’Aquila.
Prese la parola l’ex Ministro, col
compito di tracciare una sintesi, di quanto sino a quel momento
ascoltato, ed offrirla alla riflessione successiva dei livelli
istituzionali, che avrebbero, di seguito, chiuso il Convegno. L’ex
Ministro iniziò, spiegando, esplicitamente, che non c’era un
progetto complessivo e condiviso sul futuro della città. Tutti i
tentativi, sin lì compiuti, erano falliti.
- Ma che bello. E di chi è la
responsabilità?
- Non fare domande difficili,
Marcos.
- Quindi, fin qui, abbiamo
scherzato. Tonnellate di carta buttate.
E prese a riprendere, lodandoli,
ciascuno degli interventi del mattino, e del pomeriggio. Ottimista,
sul futuro possibile. Un ottimismo che cercava di trasmettere alla
platea. Una specializzazione intelligente della città, che avrebbe
dovuto individuare cosa, possedesse di importante, e trasformarlo,
attraverso innovazione e sostenibilità.
- Marcos, guardati intorno. Tu
li vedi, i soggetti del cambiamento?
- Non ti capisco, che vuoi
dire?
- Scusami, noi, a l’Aquila,
che abbiamo?
- Università… INFN… GSSI…
Conservatorio…. Accademia delle Belle Arti… Teatro Stabile…
Imprenditori che vorrebbero costruire con il risparmio
energetico…c’erano tutti qui, no?
- Hai ragione, ma a me non
basta; perché noi a L’Aquila, non abbiamo invece le imprese. Non
ci sono le imprese farmaceutiche. Non ci sono quelle Elettroniche e
dello Spazio. Non ci sono i Call Center che occupano migliaia di
persone….
- Va bbèh scusa, ma che
pretendi? Che il Gran Sasso Science Institute, inviti qui tutta
L’Aquila?
- Certo che no. Non è un
soggetto istituzionale. Non ha di questi doveri. E’ che però, mi
sembra, che non ci si può, ogni volta, innamorare di tante cose
belle e nuove, dimenticandosi, di quello che davvero muove l’economia
in città. E da cui non si dovrebbe prescindere. Quanto fanno
millecinquecento stipendi di lavoratori di call center a mille euro
al mese (tanto per fare cifra tonda), che si riversano in
città?
Comunicazione, informazione,
trasparenza. Le tre parole scelte dall’ex Ministro. Offerte alla
riflessione del Sottosegretario alle Finanze, del Presidente della
Regione Abruzzo, del Sindaco dell’Aquila. Nel frattempo, tutta la
platea si muoveva. Un sindacalista, dei due sindacati presenti, si
alzava deferente dalla prima fila, per far sedere il Presidente della
Regione, venendo premiato con un baciamano, dal Vicepresidente della
Giunta. L'architetto movimentista e l'ingegnere dell'opposizione,
continuavano a ciuciuettare.
- Vedi, Marcos. La Senatrice
più importante non c’è. Escludiamo l’ipotesi che non ci sia
perché impegnata altrove. Immaginiamo invece che non ci sia per una
precisa scelta. Che scelta, secondo te?
- E che ne so ? Magari le sta
antipatico il Sottosegretario.
- Sbagli. Non c’è, perché così
si riserva la possibilità di replica, alle parole e agli atti del
Sottosegretario. Se non è qui, non è impegnata ad annuire o
dissentire dalle parole del Governo. E’ libera, di rappresentare il
territorio. O, al limite, è libera di rappresentare di
rappresentarlo. E’ dialettica.
- Che, in napoletano, si
traduce con “ammuina”.
- Smettila di fare il
dissacrante, gratis. Guarda che invece è anche così, che si
rappresenta davvero il territorio. Il problema vero, semmai, è
perché debba essere anche questo il modo. Tutta tattica. E’
questo, in realtà, l’ “adesso”, di cui parlavi stamattina. E
che io non reggo più.
- Ecco. Se non lo reggi, fai
bene a stare nel tuo eremo. Nel tuo guscio di puro senza essere duro.
Il Sottosegretario iniziò esattamente
così. Come l’ex ministro le aveva lasciato la parola. Era
necessario comunicare i successi. L’uso positivo delle risorse
pubbliche doveva essere comunicato. Nel mondo d’oggi, l’immagine
di una città invasa da appalti mafiosizzati, da puntellamenti
taroccati, da balconi cadenti, era perdente.
Il Sottosegretario comunicava che,
nell’incontro di lavoro, del mattino, era stato risolto il
problema del rispetto del patto di Stabilità da parte del Comune, e
che la ricostruzione della città sarebbe stata oggetto di una legge
nazionale.
- Vedi, il Sottosegretario, ha
risposto alla lettera della Senatrice.
- Vedremo. Speremo.
-, rispose, Marcos.
Il Sindaco annunciò che, entro tre
anni, il centro storico delle frazioni della città, e de L’Aquila,
sarebbe ripartito. E, che, sarebbe stato importante poter utilizzare
la quota di fondi destinati al rilancio delle attività produttive
anche per realizzare infrastrutture.
- Ascolta bene queste parole,
Marcos. Una volta, quando c’era il finanziamento straordinario per
il Mezzogiorno, c’era un dibattito. Se utilizzare i soldi a
fondo perduto per fare le strade, o per aiutare le attività
produttive. E così, c’è chi ha scelto la Salerno-Reggio Calabria,
e chi invece aveva l’Italtel.
- Bel dibattito. La
Salerno-Reggio Calabria, ancora non è finita, e l’Italtel, da mò
che è chiusa.
- Guarda che le parole del
Sindaco dovrebbero suscitare un dibattito serio.
- Ma tanto, è già così. Ti
sei scordato che una parte di quei soldi sono serviti a ripianare,
poco, i debiti del Centro Turistico del Gran Sasso?
- Lo so, Marcos. Non se ne
esce. Qui l’emergenza è continua. La crisi fiscale, è questa. Il
continuo taglio di trasferimenti finanziari dallo Stato alle
autonomie locali, questo significa. Da vent’anni e più a questa
parte, stanno seccando tutto.
- Sì, e però non si è fatto
davvero nulla, per razionalizzare, dare efficienza, rendere
economicamente sostenibile. E’ così che l’intervento pubblico in
economia è diventato una bestemmia.
- Sì, Marcos. E’ così che
poi l’Italtel l’abbiamo svenduta e chiusa. Privatizza, e
privatizza. Regaliamo mercato, e chiudiamo tutto. E impoveriamo la
città, e la funzione pubblica.
- E’ vero quello che dici,
ma, insisto. Per dare lezioni, dovresti essere il primo della classe.
E qua dovremmo stare invece dietro la lavagna in ginocchio sui ceci.
Altro che soldi alle infrastrutture e al Turismo!
Il nuovo Piano Regolatore avrebbe dovuto
ricucire pezzi di città , e mettere a posto la mobilità urbana,
chiudeva così, il Sindaco, il suo intervento.
- Il nuovo Piano Regolatore,
dovrebbe contenere un’unica norma. “ E’ fatto divieto assoluto
di operare, in qualsiasi modo e forma, in deroga al presente Piano
Regolatore”.
- Ecco che viene fuori la tua
vera faccia di giacobino massimalista.
- No, è solo che mi sono rotto
il cazzo di guardare come hanno devastato la città.
- Anima bella…
Ed ecco il Presidente della Regione.
Affilato.
L’Aquila, era stata industria
innovativa, formazione e montagna. E avrebbe dovuto essere molta più
formazione. E racchiudere, nel proprio spazio urbano l’infinitamente
piccolo, studiato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare;
l’infinitamente grande, su cui lavorava la Thales Alenia;
l’infinitamente bello del Gran Sasso. E rivolgersi agli abruzzesi
nel mondo, perché fossero ambasciatori dell’infinitamente pacifico
rappresentato da Celestino V. L’Aquila, era terra di fiumi, che
univano l’Abruzzo, scorrendo dalla montagna al mare. E da qui,
oltre che dalla prossimità con altri luoghi, che si sarebbe dovuto
partire per delineare una vera strategia di sviluppo, in cui, certo,
la Regione sarebbe stata accanto alla città de L’Aquila.
- E così, caro Marcos,
capisci perché lui è il Presidente della Regione, e tu no. Ha una
visione.
- Io, invece, c’ho le
visioni…
- Scherza, scherza. Intanto, ha
proposto delle suggestioni, e se vuoi rispondere davvero, devi
metterti sullo stesso piano, scegliere se seguire quelle strade, o
indicarne delle altre. Rispondere nel merito.
- Io non posso mettermi sullo
stesso piano. L’unico piano che vedo, è quello di fuga. Tutti se
ne stanno andando, non senza prima abbracciarsi e baciarsi. E dalla
porta non esce più nessuno. Dovevamo chiedere a Renzo Piano, una
Uscita di Sicurezza.
- Quella, l’ha scritta
Silone….
Si ritrovò in macchina, lungo via
Castello. Nella sera. E venne colto da un pensiero. Inviò un sms al
suo ufficio. E ne ricevette uno di risposta. Era successo esattamente
quel che aveva pensato, e che non sarebbe potuto neanche accadere. In
un mondo normale. Era stato visto in un luogo che non era il suo
posto di lavoro. E, chi lo aveva visto, aveva voluto controllare che
fosse lì, avendone diritto. Regolarmente.
Per essere lì, quel giorno, era in
ferie. Non in malattia, o in incognito. Ma qualcuno pensava che
avesse imbrogliato.
“ Chi parla male, pensa male”,
diceva Nanni Moretti. E si comporta peggio, pensò, sorridendo.