Milano Film Festival, "Comandante" il documentario intimo e sincero di Enrico Maisto. L'intervista di Fattitaliani

Nel CONCORSO LUNGOMETRAGGI del Milano Film Festival (fino al 14 settembre) ci sono 10 film, tra cui per la prima volta i due italiani "Le sedie di Dio" di Jérôme Walter Gueguen e "Comandante" di Enrico Maisto (scheda). Quest'ultima pellicola ripercorre i ricordi del padre giudice di sorveglianza a San Vittore negli anni di piombo e di Felice, da sempre un comunista, ex-militante di Lotta Continua, in un documentario intimo e sincero, che parla di amicizia e di urgenza politica. Fattitaliani ha intervistato il giovane regista milanese

In quattro anni di lavorazione di "Comandante" è cambiato qualcosa nell'idea e nella realizzazione del film? 
In quattro anni le trasformazioni rispetto al progetto iniziale, e non solo, sono state continue. Direi che la lavorazione è stata caratterizzata da riscritture, resistenze e cambi di rotta, alcuni dei quali hanno lasciato delle piccole cicatrici nel corpo del film, che però sono un segno della sua storia produttiva. Il progetto era nato come esperimento per tentare di filmare Felice, quale personaggio romanzesco della mia infanzia. Poi è intervenuta la questione della Lotta Armata e il racconto sul progetto terrorista di uccidere mio padre. A quel punto mi sono trovato di fronte all'inevitabile ingresso di un nuovo personaggio nel progetto, ma ho fatto molta fatica ad accettare questa cosa. Dopo un primo tentativo di filmarlo ho abbandonato l'idea, per poi ritornarci solo nell'ultimissima fase delle riprese quest'inverno. Nel frattempo è cambiato anche molto il mio rapporto con la forma documentaria che all'inizio del lavoro era una perfetta sconosciuta. Poi ho cominciato a scavare, studiando, leggendo, guardando film, e piano piano è maturata anche una maggiore coscienza di questa modalità del cinema. 
Un giovane come te che idea si è fatto della storia e della storia d'Italia? 
Della Storia in generale non saprei. Per quanto riguarda la storia di quegli anni ho avuto la sensazione che si tratti di una ferita ancora aperta, di una stagione con cui si fatica a chiudere i conti, perché molti fatti hanno ancora rilevanza penale e fin tanto che penderà questa spada di Damocle, le persone avranno delle riserve a raccontare tutto della loro esperienza. Quello che percepivo è che rimanessero sempre delle zone d'ombra, che non si dicesse mai veramente tutto. Il problema è complesso e io, francamente, non credo di avere le competenze per affrontarlo, ma penso che non si riuscirà a fare completamente luce finché non si ricucirà lo strappo, la ferita, attraverso una qualche forma di riconciliazione, che richieda uno sforzo a tutti i soggetti toccati da quella stagione difficile. 
Facile parlare di storia attraverso la storia di due personaggi? 
Parlare di Storia attraverso la storia di due personaggi era per me inevitabile, o quanto meno caldamente raccomandabile, nel senso che non avendo io avuto esperienza diretta di quel periodo e non avendo neanche gli strumenti di un approccio storico-scientifico, l'unica soluzione praticabile poteva essere quella di partire da una vicenda personale, familiare, molto circoscritta. Il piano storico in questo modo interseca quello umano che è, poi, il vero oggetto d'interesse della mia ricerca. 
Umanamente parlando, in che cosa ti ha personalmente arricchito girare il documentario? 
Beh, è stato un percorso importante per me, una continua analisi delle motivazioni che ti portano a lavorare su un progetto in cui sono coinvolte delle persone con cui c'è un legame affettivo molto forte. Il rapporto con queste persone comincia a passare anche attraverso il lavoro che si sta facendo insieme e questo rappresenta sia un modo nuovo di conoscerle e di guardarle, sia una gabbia della quale ad un certo punto ti vuoi liberare. Il documentario non perdona quanto alla necessità di individuare la tua posizione rispetto ai personaggi con cui interagisci, e a volte si scoprono anche cose sgradevoli rispetto alle proprie intenzioni. C'è un grosso lavoro su stessi. Anche sui propri limiti. In certi momenti è davvero dura. L'altro dovrebbe rimanere sempre un fine e mai un mezzo. Detto ciò, con questo film ho avuto modo di visitare luoghi, di viaggiare e di conoscere delle realtà che all'inizio non avrei lontanamente immaginato. 
Gli studi che hai fatto in che maniera ti aiutano nel tuo lavoro e nelle tue aspirazioni di film maker? 
La filosofia è sicuramente un territorio affascinante, che offre tantissimi spunti tematici: basti pensare alle biografie dei vari pensatori. Si aprono molti orizzonti e la lezione fondamentale per quanto mi riguarda è quella che porta a rinnovare continuamente l'interrogativo sul senso di quello che si sta facendo, a problematizzare. Detto questo lo sforzo più importante dopo quel tipo di studi è quello di metterli da parte nel momento in cui si cerca di fare un film. Possono interferire in modo fastidioso e incontrollato con il rischio di nascondersi dietro castelli concettuali, che non producono immagini. E' un bagaglio prezioso, uno dei tanti approcci possibili per raccontare il mondo circostante, come la letteratura, la poesia, la matematica, che sono altri generi possibili. Giovanni Zambito.
© Riproduzione riservata
Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top